Liberarsi dalla dipendenza da smartphone si può (e si deve) - di Claudio Risé - da "La verità", 29 dicembre 2024
Quanti smartphone sono stati regalati per Natale? Certamente moltissimi. Comunque troppi per la salute degli italiani, piccoli e grandi. Chi scrive fu a suo tempo felice della comparsa degli innocenti e svelti telefonini, ottimi per chiamarsi un taxi se eri in ritardo, ma anche per mandare un bacino veloce. Ora è però è seriamente terrorizzato di fronte alla potenza distruttiva dello smartphone, che sarà anche smart ma – come dimostrano in tutto il mondo ricerche serissime e sempre più numerose - è soprattutto un’arma di distruzione di massa del sistema nervoso, cervello e cuore dell’utente di ogni età. Non proprio un regalino innocente. La ragione della distruttività dello smartphone – a dire il vero – è già rivelata dalle sue pubblicità e presentazioni promozionali, tipo: ti mette il mondo in tasca e simili. L’essere umano, infatti, di ogni età, non può mettersi il mondo in tasca: non ci sta. E se lo pensa è un pericoloso megalomane, o lo sta rapidamente diventando. Da questo punto di vista lo smartphone è la perfetta rappresentazione della megalomania e del narcisismo patologico che svela il carattere della società tardo moderna con la sua pretesa di sapere, o poter fare e maneggiare tutto: fantasia suicida, perché smarrisce la consapevolezza del limite. Un’idea, quella del limite, che anche se terrorizza la cultura narcisista del mondo attuale, è in realtà la nostra salvezza, perché è ciò che ci aiuta a darci una forma e una consistenza reale, al di fuori dei sogni. Ma il narcisista non lo sa, e vive con la sua onnipotenza no-limit in tasca: fino a quando prende una musata più forte delle altre e non ce la fa più. Uscirne è molto complicato, come le cronache (non solo degli adolescenti) raccontano quasi quotidianamente. Lo smartphone, con il suo retroterra globale dei social che lo diffondono e se ne nutrono, è oggi il grande mercato di sogni sbagliati, desideri impossibili da realizzare, deliri travestiti da ideologie, pulsioni sconnesse e devastanti. Il tutto presentato come eccezionale scoperta, strumento di affermazione, garanzia di primato. É così che l’attenzione personale viene sistematicamente deviata da chi e dove sei tu, con i tuoi contenuti e possibilità, verso cosa c’è nel mondo che ti assicurerebbe il successo, o il godimento no stop. Il vero contenuto dello smartphone è il mercato: delle idee, dei vestiti, delle donne, degli uomini, degli amici, di tutto. Attenzione però: questo paese di Cuccagna ha i suoi attenti “gate keepers”. Severi custodi che vegliano su chi e come si può esprimersi nel mercato. Per esempio nella sessualità l’intero campo del gender è severamente presidiato dalla burocrazia LGBT con i suoi dogmi e i divieti, per cui le considerazioni dei protagonisti della cultura omosessuale, da Testori a Zeffirelli a Visconti, sono guardate con molta severità, e incensati i giudizi di Judith Butler, invece valutati zero nei gender studies. Insomma il mercato dei sogni degli smartphone è ampiamente truccato, e tutti rischiano di uscirne con (non solo le ossa) rotte. Il mondo però non è completamente scemo, e ormai si moltiplicano le prese di posizioni critiche ad ogni livello, pubblico e privato, europeo e americano. E cominciano, soprattutto nei paesi nordici, anche i primi interventi pubblici per limitare i danni nella popolazione. In Italia è appena uscito un libro veloce, fatto con grande chiarezza e coraggio dallo psicologo e psicoterapeuta Roberto Marchesini: Smetto quando voglio, Come uscire dalla dipendenza da smartphone (e magari insegnarlo ai figli), edito da il Timone (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.). L’autore è uno psicologo serio e prende le distanze dal tono neutralizzato degli imprecisati esperti. Nelle pagine nel libro dedicate ai figli dice ai lettori: “I vostri figli- dice -non sono figli degli esperti, sono vostri; vostra è e resterà sempre la responsabilità”. Ma non è neppure terrorizzante: “tutti i genitori sbagliano, è inevitabile. Mettetevi il cuore in pace, sbaglierete sicuramente. Cercate solo di fare il meglio possibile per il bene dei vostri figli (non il vostro). Sarà più che sufficiente”. É il modo giusto per stare lontani dalle tossine dello psicologismo. Marchesini è uno dei (non moltissimi) psicologi che considerano l’attenzione alla libertà come un elemento indispensabile al benessere psichico. Quindi-osserva-“se non riusciamo a decidere di non usare lo smart phone, ne siamo dipendenti”, e dobbiamo, tranquillamente, abituarci a farne a meno, rivedendo dove e perché sbagliamo nelle nostre ricerche di gratificazione. Uno dei nostri errori che ci impedisce di farlo - quasi obbligatorio anche perché è appunto il mercato della gratificazione che ci costringe, è il fatto che siamo continuamente spinti a non fare fatica, “fisica e intellettuale”. Il problema è che il cervello e i muscoli, così come le virtù, si sviluppano con l’esercizio. Trasferendo “la fatica alle macchine noi diventiamo meno sviluppati di quanto potremmo e forse dovremmo)”. Dopo diversi decenni di pratica analitica non posso che confermare questa osservazione di Marchesini sulla dipendenza da smartphone, derivante dal trasferimento al geniale gadget di tutta una serie di funzioni prima sbrigate direttamente. Tutto ciò del resto era stato già previsto da François Maine di Biran (considerato da molti fondatore della psicologia francese moderna) alla fine del 1700, dopo che il matematico Julien de La Mettrie aveva costruito il primo Uomo macchina sperimentale. Il tentativo di liberarsi dalla fatica crea uno sconquasso nel corpo e psiche umana. Come scrive Marchesini in questo aureo libretto: “Perdere la capacità di compiere alcune azioni (compreso il pensiero) sviluppata in milioni di anni significa che la tecnologia ci sta facendo precipitare all’età della pietra…in genere l’alternativa alla fatica è la sofferenza”. E conclude: “Quindi, preferisco fare fatica”. Anch’io.