Il maschio selvatico - Introduzione
Un’auto corre sull’autostrada, veloce ma non troppo. L’uomo al volante non è un guidatore spericolato. Va al lavoro: a visitare lo stabilimento che dirige, o ad un appuntamento d’affari. D’improvviso vede dinanzi a sé un muro, un grande muro di cemento. Non ha neppure il tempo chiedersi come mai sia lì, quando l’abbiano costruito. Schiaccia con tutte le sue forze il pedale del freno, cercando di non perdere il controllo della vettura. Si ritrova coperto di sudore freddo, verso il ciglio della strada, fortunosamente evitato da automobili e camion, che lo ingiuriano sorpassandolo. Questa allucinazione dev’essere abbastanza diffusa, se a un singolo analista, come me, è capitato di sentirsela raccontare diverse volte, così come ad analisti che lavorano con me è toccato ascoltarla dai loro pazienti. Che dirne? Certo, che questi uomini che si imbattono in un muro immaginario non possono continuare sulla stessa strada: devono accostarsi, fermarsi a riflettere sul senso e la direzione della loro corsa.
Ma soprattutto la loro allucinazione grida: ho paura. Una tremenda paura di schiantarsi contro qualcosa di durissimo, insormontabile. E tuttavia costruito dall’uomo e dalle sue macchine: un muraglione di cemento. Sarebbe facile utilizzare la scorciatoia della psicanalisi classica per dire che questa paura “non è altro” che la rappresentazione di un’improvvisa impotenza sessuale, che getta il maschio nel panico. Poiché non c’è paura senza un senso di impotenza nei confronti di qualcosa o qualcuno che è più forte di te, impenetrabile dalle tue forze e dai tuoi strumenti, la paura totale di cui stiamo parlando ha anche, naturalmente, una forte componente sessuale. L’uomo sessualmente felice è l’uomo tranquillo e/o dotato di coraggio. L’uomo impaurito è di solito, un cattivo amante.
Tuttavia è troppo semplice ridurre la paura che attanaglia oggi il maschio ad un riflesso della sua insicurezza sessuale. Si tratta piuttosto del contrario: l’uomo è insicuro, anche sessualmente, perché vive nella paura. Cerchiamo allora di vederci più chiaro in questa onnivora, pervasiva paura che caratterizza la condizione maschile negli anni verso il duemila. Mi sembra di poter distinguere, in questo crampo di terrore, la manifestazione di tre grandi timori.
La prima paura è quella di venir emarginati dal collettivo.
La seconda, più profonda, quella di separarsi dalla madre di cui il collettivo sociale dello stato del benessere e del consenso è una sorta di grandioso prolungamento.
La terza è quella di non poter scampare, comunque, all’uscita dalla condizione infantile in cui si è riusciti a rimanere finora, di dovere, seppure controvoglia, subire l’iniziazione al mondo degli adulti. E quindi essere obbligati ad attraversare quella terra di nessuno che è, da sempre, il territorio psicologico e fisico in cui deve transitare chi passa da una condizione umana a un’altra. In questo caso chi da bambino dipendente diventa uomo. Responsabile di sé.