Risposta di Claudio Risé a Armando Ermini (19 ottobre 2017)
Caro Armando, ti sono grato della lettura attenta e appassionata di Vita Selvatica, in cui presenti implicitamente anche la tua storia e gli sforzi di comprensione e miglioramento del mondo che la animano. Questo atteggiamento, di impegno, partecipazione e dono di sé, è oggi prezioso. Viviamo in una società conformista e indifferente, la cui chiave dominante è il cinismo. La tua passione è un balsamo, e dà respiro…
Qualche parola, troppo frettolosa (ma la grande vecchiaia è necessariamente incalzata da tempi stretti), sui pochi dissensi tra noi, che ne mostrano però uno, di fondo. Anch'esso forse influenzato da una diversa relazione col tempo.
Il fatto è che la posizione che ho illustrato ne "La vita selvatica", rispondendo alle domande e riflessioni di Francesco Borgonovo è una sorta di proposta al maggior numero possibile di giovani della sua età (35 anni) per (come detto nel sottotitolo) "sopravvivere alla modernità".
Per riuscire a farlo, a mio parere, occorre un'alleanza ampia. Dovranno essere in tanti a cercare di smontare le tendenze distruttive e disfunzionali della tarda modernità, soprattutto occidentale, altrimenti rischieranno di essere isolati ed emarginati. La società dei consumi, sotto la sua bonarietà, è fortemente autoritaria. E molto potente, perché agisce sulla debolezza umana, rappresentata dai bisogni, reali o percepiti. Si tratta di una battaglia per la sopravvivenza che chiede di superare antiche divisioni, sensate in passato, ma che oggi indeboliscono inutilmente.
E’ necessario che tutte le forze che si battono per la vita delle persone e del mondo, e per la relazione interpersonale, l'amore, contro la liquidazione dell'umano e del sentimento nell'attuale delirio di onnipotenza post umanista, si parlino, collaborino, agiscano. Ognuno come può ma in piena apertura a tutti quelli con cui si potrebbero fare importanti pezzi di strada.
Ecco perché, caro Armando, in quella sede dell'intervista di Vita Selvatica, veloce e diretta ai più giovani, ho evitato di rievocare le possibili responsabilità del protestantesimo nel processo di indebolimento della famiglia. Le sfide che i giovani avranno davanti a sé sono ben più consistenti. Il Cristianesimo ha bisogno di trovare unità, per contrapporsi a scelte antropologiche profonde e globali. E il protestantesimo ha in sé enormi risorse, umane e intellettuali, cui non mi pare ragionevole (né possibile) rinunciare.
Lo stesso vale per le femministe che si oppongono alla fabbricazione di esseri umani. Sottolineare le diverse, personali, vicende biografiche e ideologiche non mi interessa affatto. Negare i meriti di coraggiose posizioni attuali per rievocare passati dissensi non ha significato. Mi sembra molto più fecondo l'accordo che le forze per la vita hanno trovato per esempio in Francia, con le Manif pour tous, ma anche con una collaborazione etica e intellettuale fra i diversi gruppi e estrazioni, non impegnati nel valorizzare gli aspetti divisivi, ma quelli unitari, nell'opposizione al pensiero unico e verso il cambiamento di modello, culturale e politico. (Che non c'entra nulla con Macron, naturalmente, attore provvisorio e piuttosto ridicolo di un ulteriore atto della vecchia commedia del vecchio potere).
Certo tutto ciò ha un prezzo. Si tratta di riconoscere che antichi risentimenti e etichette, oggi, valgono meno di zero. Ci siamo noi, come persone, coi nostri poveri mezzi e le nostre speranze. Soprattutto per gli altri.
Un abbraccio, Claudio