Il fantasma del padre - di Riccardo Paradisi - da Il Domenicale (marzo 2003)
da Il Domenicale, numero 12, 22 marzo 2003 Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Uno spettro si aggira per il mondo occidentale: come gli angeli di Wenders, o il demone di Lewis, sussurra agli uomini il vuoto lasciato da un'assenza: il fantasma del padre non ci lascia in pace. Perché non c'è pace senza il ricongiungimento col Padre. Un archetipo negato si ripresenta sotto forma di malattia mentale. Il Novecento - secolo dove i padri sono andati in fabbrica e spediti in guerra - ha partorito miti fasulli e generato mostri veri: i falsi padri. Hitler e Stalin (lo zio dei nazi e il piccolo padre dei comunisti) diventano i più grandi totem a cui masse assetate di padre si subordinano passivamente ("quando si smette di credere a dio si comincia a credere in tutto") regredendo ad un'attività psichica primitiva che Freud (Psicologia delle masse e identità dell'io è del 1922) riteneva simile a quella che caratterizza l'orda primordiale descritta in Totem e tabù. Non a caso, i collettivismi del socialismo nazista e comunista, son dovuti passare sul cadavere della famiglia per imporre alle masse la retorica totalitaria, hanno dovuto distruggere i corpi intermedi per allungare le mani sull'educazione e l'irregimentazione del lavoro, hanno espropriato la società civile di ogni suo potere e prerogativa per realizzare la fase suprema dello stato moderno quale hegeliana sintesi della dialettica tra famiglia e individuo. Lo Stato moderno: la grande famiglia artificiale edificata sulla tomba della famiglia naturale. E su quella di milioni di padri uccisi nella Prima e nella Seconda guerra mondiale. Uccisi in nome d' ideali di massa che hanno dominato gli io. L'ideale dell'Io è un'altra cosa: non una costruzione intellettuale architettata dai politici come ideologia; piuttosto un sapere concretamente vissuto e trasmesso. La persuasione dell'educazione, contro la retorica della cultura di massa. Ma per trasmettere il sapere, per insegnare e iniziare alla vita, per rendere forte e tranquillo un io e sottrarlo alla propaganda che ammassa cervelli nelle comuni del pensiero, occorrono i padri veri, le famiglie naturali, i radicamenti autentici nelle patrie genuine. Se anche l'Onu definisce le famiglie a partire dalle tendenze sessuali, se la Conferenza di Pechino stabilisce che esistono cinque generi sessuali, se il globalismo giuridico decreta per decreto di diritto positivo le leggi e i costumi del pianeta, resta vera la Verità: che se una donna è in grado di trasformare un embrione in un bambino, solo un uomo può trasformare un bambino in un altro uomo. Per questo la vita nel mondo occidentale sembra una gita a Disneyland: la società degli eterni adolescenti, come la chiama Robert Bly, il fondatore del movimento degli Uomini americano. Perché solo la prima trasformazione è avvenuta: i bambini che erano embrioni sono abortiti come uomini. Nessuno li ha aiutati a diventare ciò che sono. Restano, a vita, figli cronici accuditi e soddisfatti nei bisogni dal grande matriarcato dell'assistenzialismo e del welfare, pacificati nella (falsa) coscienza dalle retoriche del politicamente corretto e della cultura del piagnisteo, vittime di una morale da schiavi da cui non trovano motivo di liberarsi. La scomparsa del padre, che è il prodotto della negazione dell'energia fallica maschile e della sua criminalizzazione (cfr Risè Essere Uomini, ed. Red) priva l'orizzonte degli uomini della prospettiva della libertà, del contatto con la costellazione dei loro archetipi di riferimento che, da sempre, ne hanno incanalato e ordinato le energie psichiche e spirituali. I padri di famiglia pensano al lavoro e ai soldi, come i loro padri del resto (questa storia va avanti da più di un secolo) e intorno ai figli si diradano le figure maschili significative: il bambino, sin dalla più tenera età è bombardato dal femminile: la mamma, la maestra, la baby sitter, la nonna…che c'è di male? Nulla se non fosse che le donne non potranno mai trasmettere ai giovani maschi un'identità di genere, che passa attraverso l'affinità e la presenza fisica. Questione di cellule più che di parole. Le donne svolgono una funzione paterna primitiva, hanno un'ideale rigido ed estremistico della paternità, fatto di norme di controllo ferreo più che di guida. Fanno quello che possono. Ma sono inadeguate. Un'inadeguatezza simmetrica a quella dei padri che si improvvisano mamme. Il risultato è la distanza incolmabile dal padre. Un padre vissuto attraverso una cultura che gli è ostile e che ostilmente declina anche le parole che hanno radice nella sua sostanza: paternalista, paternale, patria sono termini carichi di una valenza semantica negativa, rimandano a idee autoritarie, a chiusure e grettezze. E' così che nasce l'odio degli uomini per se stessi e la diffidenza dei maschi tra di loro. E verso i più anziani in particolare. La vita tra i maschi diventa una questione di potere: se ogni autorità è delegittimata, ogni autorità diventa arbitrio. "Mai fidarsi di qualcuno sopra i trent'anni" dicevano negli anni sessanta i giovani che contestavano i padri. E' un monito che i trentenni di oggi dovrebbero considerare visto che a star loro addosso sono gli adolescenti di allora. Rimasti tali. Impegnati a mantenere il potere e a spassarsela piuttosto che a dare esempi. Fratellastri maggiori più che padri. Riconnettersi al padre è il compito delle generazioni che vengono dopo il Novecento: raggiunto il grado zero dell'ideologia possono tornare al piano di realtà, a ciò che sempre è stato e sempre sarà, al Padre Nostro che è nei cieli, celato nel profondo di noi stessi. Per essere uomini, maschi felici, buoni padri.