Né autoritario né “mammo” né amico. Di quale figura abbiamo oggi bisogno? Nel lungo dialogo con i lettori di Io donna, lo psicanalista Claudio Risé suggerisce un nuovo stile. Libero. Il padre imperfetto Di Anna Maria Battistin da Io donna, 9 ottobre 2004

Il padre imperfetto di Anna Maria Battistin

da "Io donna", 9 ottobre 2004

“Il mestiere di padre” (San Paolo, 2004) nasce dal dialogo con gli uomini, padri e figli, che Claudio Risé ha svolto per otto anni su “Io donna”. Riorganizzato oggi intorno alle tematiche più significative della paternità. Nessuna nostalgia per la figura autoritaria del passato che, come scriveva Kafka, otteneva obbedienza assoluta dai figli ma lasciava danni impressi per sempre nell’anima. E nessun rimpianto per il padre “debole” degli ultimi tempi, che abdica al ruolo normativo di guida per assumere quello affettivo di “mammo”. O quello pacificante di amico, azzerando la differenza tra generazioni. Di quale padre, allora, oggi si sente un così forte bisogno? «Lo stile paterno è tutto da riscoprire o da reinventare» afferma lo psicanalista Claudio Risé, che nel suo nuovo libro ha raccolto le lettere più significative alle quali ha risposto su Io donna nella rubrica Info/Psiche lui. «Nella “terra di nessuno” rappresentata dall’attuale fase di transizione della maschilità (e della femminilità), la cosa migliore è forse adottare uno “stile libero”, lontano dagli stereotipi maschili e paterni, ma che abbia il coraggio di riconoscere i propri vissuti più autentici, per rispondere nel modo più vero alle necessità dei figli». Sono molte le lettere che testimoniano la mancata risposta dei padri a queste necessità: in primo luogo quella di rappresentare il terzo polo nel triangolo familiare, l’elemento maschile che favorisce il distacco del figlio dalla madre, proiettandolo verso il mondo. Padri rimasti figli di mamma, spesso perché anche a loro è mancata una figura paterna adeguata, che invece di rappresentare un solido riferimento maschile si comportano come fratelli gelosi. Padri perennemente in ombra, che pur di evitare conflitti non intervengono quando è necessario: e lasciano per esempio che il figlio, con l’appoggio di una madre apprensiva, cambi scuola ogni volta che qualcosa non va. E “mammi” delusi, che dopo la fase biberon e pannolini tornano ad essere assenti, per poi stupirsi del maggior attaccamento del figlio per la madre. «Il ruolo del padre, qualunque sia lo stile adottato» osserva Risé «è quello di iniziare il figlio alla vita, di fargli da ponte verso la società, soprattutto a partire dai 7, 8 anni, indicando attraverso i suoi comportamenti le norme e i limiti, sostenendolo nelle prove che deve affrontare, a cominciare dalla scuola. Ed è nello spirito del dono, non dello scambio, che il padre svolge la sua funzione educativa, senza aspettarsi alcuna ricompensa. La riconoscenza, se ci sarà, verrà dopo, quando il figlio è cresciuto». Naturalmente non c’è genitore, neanche il migliore, che non abbia colpe agli occhi del figlio. Ma se c’è un tempo per la ribellione, il rancore, c’è un tempo anche per la riconciliazione. «Per fare spazio alla figura paterna, nella propria psiche come nella vita» conclude Risé «bisogna innanzitutto accettarsi come figli dei nostri padri: essere grati per ciò che da loro abbiamo ricevuto e pronti a perdonare ciò che non hanno saputo o potuto darci».