Anche l'America è stufa di bugie - di Claudio Risé - La Verità 31 marzo 2024

“Quanto male bisogna fare per fare il bene ?” A domandarselo è Hal Brands uno dei più importanti professori di Global Affairs dalla John Hopkins School di Studi internazionali. Il tutto ( piuttosto inquietante per una sede così blasonata) è pubblicato con titolo Il Tempo dell’amoralità sul trimestrale Foreign Affairs, rivista ufficiale del Consiglio per le Relazioni Internazionali americano. Il saggio poi, è illustrato con la provocatoria immagine, a tutta pagina e vivaci colori, di un angelo azzurro-vestito che in una notte nero-pece dà sorridendo la mano, in mezzo a un firmamento nero, a un diavolo rosso-fiammante con coda puntuta; i due poggiano su spalle e casco di un militare in mimetica.
L’amoralità di cui parla il giovane professore alla cattedra Henry Kissinger è quella, tipica delle potenze democratiche, di mettere insieme “i loro pregevoli fini con i disgustosi mezzi che usano per realizzarli”. E Hal Brands documenta come il problema fosse già visibile alla divisione del mondo stabilita dai Grandi della terra nel 1946, alla fine della seconda guerra mondiale.
Anche adesso, nella partecipazione al conflitto tra Russia e Ucraina, il presidente americano Biden ha presentato la questione come una lotta tra libertà e repressione, tra “un ordine basato su regole e un altro governato sulla forza bruta”. Ma, nota Brands, già prima che Hamas e Israele presentassero le loro lista di richieste ( che non hanno certo migliorato la situazione ) l’amministrazione Biden “si era intrappolata in una situazione moralmente ambigua”, continuando a sottolineare l’aspetto ideologico del conflitto in atto tra Stati Uniti e Russia per la questione Ucraina. In questo modo, però, per rafforzare la sua posizione, Biden aveva subito dovuto imbrogliare le carte: “ in Asia si è trovato a dover fare la corte a un’India che scivolava all’indietro, e anche al Vietnam comunista ed altri Stati tutt’altro che liberali. In Medio Oriente ha concluso che i dittatori arabi non sono dei paria ma dei partner indispensabili”, e così in altri luoghi in giro per il mondo. In questo modo la questione Ucraina è stata promossa a evento centrale della politica internazionale, aumentando così l’importanza della stessa Russia e creando problemi gravissimi per la pace nel mondo.
Difendere, però, i poteri ingiusti o traballanti non è un modo etico, per una democrazia, una garanzia di sviluppare le democrazie del futuro. Tra l’altro, qualsiasi cosa raccontino gli stimatori prezzolati dal sistema, Brands riconosce francamente che “a un certo livello il tempo della guerra diventa per forza il tempo dell’amoralità, perché l’unico modo di proteggere un mondo fatto per la libertà è corteggiare partners poco raccomandabili e dedicarsi ad atti impuri”. Trasformare un conflitto locale nell’evento più importante e delicato del mondo è un rischio altissimo, di cui non c’era davvero nessun bisogno. Da questa strategia, secondo Brands, c’è da aspettarsi solo il peggio. “ Se le sfide delle rivalità di oggi sono così alte come assicura Biden – scrive Brands - Washington finirà con l’impegnarsi in un comportamento cinico e mozzafiato per contenere i suoi avversari”. E per il mondo non è certo una buona notizia e una garanzia di benessere.
Il fatto è che per difendere davvero alti principi bisognerebbe averli davvero, e non pare questo il caso. “La moralità è una bussola, non una camicia di forza”, spiega con realismo Brands, differenziandosi nettamente dai tanti sostenitori interessati a slogan generici e infondati.
Un’autentica grande potenza è invece tenuta ad un certo livello di moralità. Un’etica di soli, magari rumorosi, espedienti, di trovate del momento “è piena zeppa di rischi, dalla delusione nel Paese alla perdita di quell’asimmetria morale rispetto agli avversari che ha per molto tempo rafforzato l’influenza americana negli affari globali”. Le aggressività inutili, gli insulti scomposti ( Il “Putin macellaio”, ripetuto da Biden in pochi mesi) non servono, sono volgari provocazioni, e comportano altissimi rischi, per il proprio Paese e per il mondo.
Gonfiare davanti al mondo un petto stanco è una strategia ridicola e pericolosa. In una politica morale, tra grandi potenze di diverso orientamento, “più grande è il compromesso e più importanti sono i risultati, e i danni che vengono evitati”. Negli anni ’80 del ‘900 il presidente americano Ronald Reagan “sopportò per 8 anni orrendi dittatori, militari criminali, e violenti ”lottatori per la libertà” nel Terzo mondo, con annessi complotti, del tutto disonesti o semplicemente illegali”. Contemporaneamente Reagan sostenne i movimenti democratici dal Cile alla Corea del sud con sonore affermazioni degli ideali occidentali.” E’ questo – conclude il professore alla Cattedra Kissinger (che fu il principale teorico della politica realista negli ultimi cent’anni), il miglior modo per preservare l’equilibrio – politico, morale, strategico, indispensabile a una superpotenza realmente democratica”.