L’alpinismo eroico - Relazione a cura di Antonello Vanni
 

Giovedì 27 settembre 2001 si è tenuta presso il Circolo Culturale Sole e Acciaio la presentazione del libro Cavalcare le vette a cura di Maurizio Murelli, (Edizioni Società Editrice Barbarossa, orionseb@tin.it  oppure 0266400383). Il libro è stato presentato con un dibattito tra il curatore e Claudio Risé.

Cavalcare le vette è stato costruito da Murelli attorno agli scritti (diari e riflessioni) ed alla vicenda umana di Omar Vecchio (Milano, 1962-Pakistan, 2000), giovane intellettuale passato in breve tempo dall’esperienza del seminario all’incontro con il dadaismo e l’esperienza della regia cinematografica. Omar avvicinò importanti studiosi come Evola e si dedicò all’arditismo ed all’alpinismo eroico, estremo e solitario, che lo condusse fino all’ultima tappa in Pakistan. L’intenzione del curatore, Murelli, è di natura pedagogica: un libro per i giovani alla ricerca di una via formativa forte ed estrema.

Presentiamo una breve relazione della presentazione del libro e del dibattito seguito ad essa.

Murelli: «Ho curato un lavoro su Omar Vecchio, scomparso l’anno scorso scalando una vetta in Pakistan. Omar entrò in un seminario di Padri Passionisti, presso Erba, e fu proprio questo il momento in cui si accorse, nonostante la sua esperienza quasi mistica della religione,  che “Dio era morto” e che il Sacro aveva cessato di esistere. Nei pressi del seminario conobbe Luciano, un amico che lo guidò nella lettura di psicanalisi, politica, così come nell’uso delle droghe. Omar lasciò presto il seminario e si spostò a Milano dove conobbe l’avanguardia dadaista, il pensiero di Evola e di La Rochelle, di Heidegger e Nietzsche. Diventò dunque un giovanissimo ma brillante intellettuale e si cimentò in varie dimensioni artistiche.
Intuì però il dramma occidentale (vedi Essenza nichilista dell’Occidente cristiano, Seb editore) e soprattutto iniziò a chiedersi quale potesse essere la via di uscita. Furono le letture di carattere esoterico sulla montagna (lo stesso Meditazioni delle vette di Evola, ad esempio) che lo spinsero verso una pratica della natura capace di insegnare all’uomo il senso del limite e del superamento attraverso l’esperienza delle proprie capacità. In particolare Omar si interessò all’alpinismo eroico, di tradizione tedesca, inteso come unica arte marziale occidentale idonea al superamento della condizione nichilistica. Un alpinismo, quello eroico, non tecnico e da palestra, ma senza guide, attraverso vie dirette, sempre con a fianco la morte ed il dramma».

Risé: «Cosa rappresenta per il maschio la spinta verso l’alto? Possiamo riferirci a Pound: «Il femminile è migliore negli atti utili e di salvaguardia della vita; al maschile appartengono gli atti folli, l’irrealizzabile, gli atti nuovi». Ma perché nel mondo ha luogo la spinta verso l’alto, che rasenta la follia? La spinta verso l’alto contiene un forte elemento della dimensione psicologica umana; un esempio a riguardo è il simbolo della croce che è costituita da braccia orizzontali, parallele alla materia mentre il tronco va verso l’alto (e il basso). Per capire il significato di questa figura nella storia psicologica umana ricorriamo ad un mito africano: il cielo stava sopra la Terra e questo abbraccio soffocava l’uomo. Le donne con il loro alzare i pestelli per schiacciare i semi ferirono il cielo che decise di alzarsi. Ma i pestelli lo ferirono troppo ed il cielo, cioè Dio, si allontanò, morì. La spinta verticale dunque incalza la psiche umana. L’innalzamento è però sempre accompagnato dalla caduta: una sigaretta vede il fumo alzarsi e la cenere cadere. Spesso l’uomo sale perché teme di scendere. Questa dinamica è stata ben descritta dal filosofo Bachelard: le due forze, salita e caduta, si rinforzano l’una con l’altra. Più si va in alto, più il basso attira giù.
Un altro aspetto interessante, sottolineato anche da alpinisti come Emilio Comici, è che il desiderio di salire è ricerca di leggerezza: Comici arriva alla vetta e si sente così leggero da…voler salire ancora.
Di fronte a questo incontro di tensioni l’uomo si trova nella necessità di stabilire un patto. Castiglioni, altro noto alpinista, dapprima rappresentò l’azione, l’eroismo, la verticalità; poi nel corso della sua vita si innamorò del basso, della materia, della natura, della montagna in senso fisico. Alla eccessiva tensione verso l’alto deve corrispondere infatti il ritorno verso il basso, l’umanizzazione, l’incarnazione della visione.
Nota Leonardo da Vinci nei Quaderni che «la leggerezza nasce dalla pesantezza». Bisogna cioè mantenere la consapevolezza sul gioco dei pesi, della varietà delle forme. Se la pesantezza viene rimossa il rischio è che essa ci metta le mani addosso quando meno ce l’aspettiamo».

Domanda del moderatore (il Presidente del Circolo Culturale Sole e Acciaio, Francesco Martinez) a Claudio Risé:

«Secondo Lei esiste una relazione tra il Manifesto di Unabomber, il passaggio al bosco e la via dell’alpinismo eroico?»

Risé: «La sfida del nostro tempo è sopravivere al carattere meccanico ed automatico della società tecnologica. Tale condizione porta infatti alla tortura e violenza nei confronti dell’uomo e della natura vivente. Nella storia delle religioni compaiono due archetipi, oggetto di ricerca dell’antroposofia di Steiner. Il primo è la verticalità come spinta verso l’alto e ricerca della luce che può incarnarsi nell’archetipo luciferico. Questo archetipo avrebbe accompagnato le rivoluzioni borghesi che volevano portare la luce all’uomo ma nello stesso tempo bruciavano e lo bruciavano nei drammi del ventesimo secolo. Una forza collettivizzante tipica dei movimenti di massa.
Il secondo è la forza archetipica del diventare pietra, senza sangue e cuore cioè Ariman, figura dello zoroastrismo. Ariman vuole togliere la vita dal mondo trasformandolo in un mondo di macchine. Egli usa forze specifiche per cancellare la vita sulla Terra, ed in particolare il silicio che non a caso è presente nei circuiti di televisori, pc, et cetera. Rappresenta cioè la volontà dell’assolutamente inorganico.
Queste furono osservazioni fatte anche da Fukuyama a proposito della fine della natura (ma vedi anche il manifesto di Una Bomber, in cui è presente l’invito a lasciar scorrere il sangue nella vita, per salvarsi dalla pietrificazione)».

Domanda del moderatore a Murelli: «Qual’ è il messaggio dell’alpinismo eroico per chi ricerca una via di superamento del nichilismo?»

Murelli: «Sperimentare il proprio limite, giocare la vita e rischiare, stare comunque alle regole del gioco che non ammette il bluff. Soprattutto mettere alla prova il destino, attraverso la solitudine perché in montagna si sale se sei solo, ed in ciò cogli veramente te stesso»

Domanda dal pubblico a Risé:

«Riesce a salire solo chi sente che il volo è connaturato alla salita? Caduta e volo sono connaturati. Per tutto il Novecento vi è stata la tensione verso l’alto. La domanda di Mishima – appartengo al cielo o alla terra? – non significa forse che la realtà dell’uomo è tra due poli?»

Risé: «La capacità di essere creativi, la capacità di proposta agli altri, sta infatti nella possibilità di stare tra due poli, a metà, nel mezzo, in continuo dialogo con entrambi. . E’ necessario integrare la pesantezza, in una costante tensione verso la luce. Simone Weil diceva: ci sono solo due forze: la pesantezza e la luce.  Un organismo che realizza molto bene l’integrazione  tra verticalità e orizzontalità, luce e pesantezza,  è l’albero, che la terra nutre e la luce trae verso di sé . L’uomo può come l’albero trovare un suo centro tra  alto ed  basso ma deve confrontarsi con una sua peculiarità che è il movimento, l’erranza. Il rischio, per la personalità, è l’unilateralità:  rimanere sul piano orizzontale, o diventare prigionieri della vetta e dei suoi miraggi. In questo senso  l’esperienza estatica  di chi sale,  , può anche non essere benefica. A volte non si riesce a tornare. E’ invece necessario tornare, non restare persi nella visione, non smarrirsi nei miraggidella verticalità. Cian Bolpìn ad esempio, da una leggenda alpina della saga dei Figli del Sole (che io racconto ne Il Maschio Selvatico, red ed.), rimase imprigionato nello sguardo di una figura femminile delle vette argentate, che lo chiuse fuori dal tempo e dallo spazio. ».    

A. V.